GALLICIANO', UN BORGO A STRAPIOMBO SULLE GOLE DELLA FIUMARA

Pubblicata il: 01/06/2023

Kalòs ìrthete, ode manachò stes oscie fortomène ce asce tragudìa

Accoglie i visitatori questa frase all’ingresso del minuscolo paesino, questa piccola bomboniera incastonata su un promontorio a strapiombo delle gole della “Middalìa Potamò” la fiumara delle mandorle: l’Amendolea. “Benvenuti, qui, in queste montagne assolate, cariche di sofferenza e di canzoni”.

E’ questa la frase che descrive a tutto tondo gli abitanti di questo piccolo paesino che ricade sotto il Comune di Condofuri, uno dei pochi in cui si parla ancora quella “glossa” portata qui da un popolo che vive dall’altra parte del Mediterraneo diversi secoli addietro, e conservatosi ancora intatta, quasi “cristallizzata” in uno spazio-tempo estraneo al resto della Calabria stessa.

Ogni fine settimana, a Gallicianò ritornano molte delle persone che si sono spostate in marina, le case del piccolo borgo riaprono i battenti e si sentono le voci dei bambini risuonare nelle strette viuzze dove siedono oramai soltanto delle persone anziane che incuriosite dai visitatori li accolgono con i “kalimèra” e i “kalòs ìrtete”, le frasi di benvenuto con cui ricevono tutti quelli che arrivano in paese.

L’odore dei “macarugna” conditi con il sugo di “crea ce ega” (carne di capra) proveniente dal piccolo ed accogliente ristorantino grecanico, guida i turisti che si immergono in sapori ed odori che inebriano i sensi e il palato, aiutati da un buon bicchiere di “crasì” (vino) e accompagnati dai brindisi rituali della tradizione. Il canto e la musica chiamano e i piedi scalpitano e si muovono veloci nello spazio ristretto della piccola agorà, dove la musica e il ballo trovano il naturale epilogo in una tarantella a cui partecipano tutti, ospiti e padroni di casa.

Dicono che il greco di Calabria o il grecanico che dir si voglia, sia una lingua destinata a scomparire perché è una lingua povera, da “paddhechi” il termine con cui spregiativamente venivano appellati i parlanti, quando si spostavano in marina. Ma come si può definire “povera” una lingua che ha più di 40 parole per descrivere la terra e più di trenta per l’aratro?

Parole in cui etimi ed eponimi sono presenti nei dizionari di lingua Italiana e latina usati nelle scuole del nostro Paese? Ci si dovrebbe adoperare affinché questo tesoro immateriale non venga disperso, anche perché ogni volta che un parlante muore, perdiamo una biblioteca di saperi che difficilmente potremo recuperare.

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Scritto da: Mimmo Catanzariti

E’ uno dei referenti per la Locride di Slow Food

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